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È uscito il n. 3/2020 dei “Quaderni del Circolo Rosselli” la rivista diretta da Valdo Spini edita da Pacini Pisa.

Il numero è dedicato a “Paolo Barile a vent’anni dalla sua scomparsa”, (2000-2020) con i contributi di Enzo Cheli, Stefano Grassi e Valdo Spini, (Quest’ultimo ricorda la comune esperienza nel Governo Ciampi.) Il nucleo principale della pubblicazione è costituito dal saggio di Marco Cannone “Paolo Barile: Il giurista delle libertà̀”, L’autore, ripercorre la storia di Barile giovane magistrato, militante di Giustizia e Libertà, partigiano del partito d’Azione e poi allievo di Piero Calamandrei nell’avvocatura e nell’insegnamento universitario, fino a diventare il grande costituzionalista a tutti noto. Il saggio di Cannone comprende anche una ricerca originale e inedita nell’Archivio Barile, nel capitolo “Caposcuola dei costituzionalisti fiorentini”.

Ricca anche la parte generale della rivista con l’articolo “Socialismo liberale: ideologia del ceto medio?” di Andrea Banchi e quello di Lucilla Spini sui 75 anni delle Nazioni Unite. Quindi la storia di Franco Venturi (1914 – 1994) come militante nella Resistenza e nel Partito d’Azione, nell’articolo di Giulio Talini. Mentre l’avvocato Salvatore Battaglia (1843 – 1900) è raccontato da Enrico Coppi in occasione dell’inaugurazione della lapide che lo ricorda là dove visse in Firenze. Infine, Valdo Spini ricorda Giorgio Bouchard figura di spicco della Chiesa Valdese, e del protestantesimo italiano.

“Arrivati in redazione” la consueta rubrica di libri a cura di Antonio Comerci, conclude anche questo numero del Quaderni.

 

 

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“Fondazione Circolo Rosselli”

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Con gli sci a Vallombrosa

Abbiamo ricevuto tre belle immagini di Carlo Rosselli che, nel 1922, intrattiene i ragazzi del “ricreatorio” di Vallombrosa (FI) per gli orfani di guerra. Ce le ha mandate Piero Morpurgo che le ha trovate in un album di foto fatte dal nonno Augusto.

I Morpurgo e i Rosselli oltre che amici fraterni erano parenti, in quanto discendenti di Regina Pincherle, e le due famiglie condividevano l’amore per la scuola: la Casina di Grassina dei Rosselli, la scuola degli Orvieto, la colonia estiva di Penia di Canazei dei Morpurgo, il Ricreatorio a Vallombrosa dove soggiornava spesso anche Amelia Rosselli.

Augusto Morpurgo, autore delle foto, era molto amico di Carlo e Nello Rosselli. È morto nel 1939 perché, a seguito delle leggi razziali, perse il lavoro a Milano e tentò più volte di ottenere un visto per il Sudamerica e nei continui viaggi tra Milano e Genova, in ragione dei dinieghi burocratici, contrasse la polmonite.

Salomone Morpurgo, padre di Agusto, con Ernesta Bittanti Battisti organizzarono nel 1925, in occasione della mostra pedagogica fascista, una rassegna della storia della scuola italiana tutta dedicata agli studenti che avevano combattuto per la libertà e, d’intesa con Nello Rosselli e Pietro Jahier, nei giorni dell’inaugurazione manifestarono in memoria di Giacomo Matteotti con quelle iniziative improvvise che caratterizzarono l’agire dei fratelli Rosselli.

Un grazie sentito a Piero Morpurgo, che ha voluto farci parte di queste immagini e della loro storia.

 

Istituti di cultura ieri e oggi: la Fondazione Rosselli. Intervista a Valdo Spini

Fonte: https://www.pandorarivista.it/articoli/istituti-di-cultura-ieri-e-oggi-la-fondazione-rosselli-intervista-a-valdo-spini/

Interviste – 25 Ottobre 2020

Istituti di cultura ieri e oggi: la Fondazione Rosselli. Intervista a Valdo Spini

Scritto da Giacomo Bottos

Questa intervista a Valdo Spini inaugura un ciclo di conversazioni con esponenti di Fondazioni e Istituti culturali che ha l’obiettivo di ricostruire elementi della storia di queste realtà e di capire come è cambiato rispetto al passato il loro lavoro, quali sono le sfide attuali e le principali tendenze per il futuro.

Valdo Spini è Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, nel 1981 ha fondato, e tuttora dirige, la rivista di politica e di cultura «QCR/Quaderni del Circolo Rosselli». Presidente dell’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane (AICI) e Presidente del Coordinamento delle Riviste Italiane di cultura (CRIC). Docente di Storia delle relazioni economiche internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell’Università di Firenze. Eletto alla Camera dei Deputati per otto legislature, più volte Sottosegretario e Ministro.

 

Per iniziare ti chiederei di ricordare l’inizio delle tue attività presso la Fondazione Rosselli…

Valdo Spini: L’inizio risale molto addietro nel tempo, quando era un Circolo non ancora costituito in Fondazione. Facevo parte di un gruppo di giovani – ventenni – della sinistra socialista lombardiana, che si ritrovava appunto al Circolo Rosselli, che continuava a permanere a Firenze, anche grazie all’impegno di un militante di Giustizia e Libertà, Nello Traquandi, ferroviere e unico non intellettuale che si vede comparire nella foto di gruppo di “Non mollare”. Il Circolo di Cultura Politica Fratelli Rosselli era stato fondato nel settembre 1944, a Liberazione appena avvenuta, dal Partito d’Azione come ricostituzione del Circolo di Cultura animato dai fratelli Rosselli dal 1920 al 1924. Proprio nella notte dell’ultimo dell’anno 1924 il Circolo era stato assalito e devastato dai fascisti e pochi giorni dopo chiuso d’autorità, Il rinato Circolo era stato tenuto a battesimo dal più illustre dei soci superstiti, Piero Calamandrei e aveva svolto agli inizi un intenso lavoro culturale.

Per molti motivi, in particolare per l’intensa attività di partito che coinvolgeva ormai nel Psi gli ex azionisti fiorentini, il circolo non svolgeva più un’attività organica ma, alla fine degli anni Sessanta ritenemmo che fosse importante recuperare e rilanciare questa tradizione e organizzammo un ciclo di incontri rivolto ai giovani del Sessantotto. Di fronte alla difficoltà di inquadrare in un vero e proprio dibattito politico il movimento del Sessantotto, pensammo che fosse utile sostenere che non esistesse un’unica ortodossia, ma piuttosto diversi modi di concettualizzare l’evoluzione del mondo. Organizzammo quindi un ciclo di incontri sui marxismi, proprio per dimostrare che non esisteva un unico marxismo ma ve ne erano diversi. Inaugurò questo ciclo Michele Salvati, che allora trattava della divisione del lavoro in un celebre saggio che fu pubblicato sui Quaderni Piacentini. Dopo, ci furono Giuseppe Vacca su Gramsci, Tito Perlini sulla Scuola di Francoforte, Edoarda Masi sul comunismo cinese e Norberto Bobbio sul socialismo liberale. Questo ciclo ebbe un grande successo perché in quel periodo non vi erano altre offerte culturali di questo genere. Tutti i gruppi o formazioni del Sessantotto proponevano la propria ortodossia agli appartenenti al movimento. Noi, invece, non offrivamo un’ortodossia, bensì una discussione pluralistica. Un fatto interessante di quel periodo fu che un nostro punto di riferimento, il professor Sergio Moravia – recentemente scomparso –, ci raccontò di essere stato ripreso dalla Federazione del Partito Comunista, della quale era membro, per aver dato il suo supporto al Circolo Rosselli. Questo per dire le difficoltà che una discussione di questo tipo incontrava.

 

All’epoca in cui è entrato, come si articolava l’attività del Circolo Rosselli, quali erano le attività principali svolte? Più in generale, quali erano i meccanismi di una fondazione culturale di quel tipo?

Valdo Spini: Quando entrai nel Circolo Rosselli la sua principale attività consisteva nella commemorazione delle persone decedute. Il circolo aveva avuto un certo rilancio nel 1962 quando, sotto la guida di Alberto Scandone, costituimmo un movimento di studenti medi che si chiamava Nuova Resistenza, che vi si insediò. Quando successivamente Nuova Resistenza venne meno – secondo una dinamica tipica di queste organizzazioni giovanili contrassegnate da evoluzioni cicliche – il circolo ritornò nuovamente alla sua precedente attività commemorativa.

Questo creò le condizioni perché il nostro gruppo potesse ripartire da zero, rilanciandone le attività. Lasciammo uno spazio anche all’aspetto storico e rievocativo, ma quello che suscitò in noi maggiore interesse fu la comprensione del Sessantotto e la questione della riforma universitaria. Il nostro gruppo di giovani organizzava vari congressi e incontri, ma le diverse presidenze che si sono succedute – prima di Enzo Enriques Agnoletti e poi di mio padre Giorgio Spini – tutelavano al tempo stesso i vecchi soci, che a quell’epoca restavano presenti nel circolo. Facevamo inoltre molta politica e a poco a poco prendemmo in mano la Sinistra Socialista Fiorentina, che aveva come leader Tristano Codignola, che a suo tempo aveva guidato il Partito d’Azione fiorentino.

 

Quali erano all’epoca i principali soggetti sulla scena culturale fiorentina con i quali voi interagivate e interloquivate?

Valdo Spini: C’erano naturalmente varie presenze, come un circolo molto vicino al partito comunista (che dette impulso per un certo periodo ad un nuovo “Circolo di Cultura”) o un circolo socialista vicino alla maggioranza del Psi, che si chiamava “L’incontro”, ma il Rosselli si distingueva per il suo particolare impulso di pluralismo e di apertura che mancava ad altri. Nel frattempo, comunque crescevamo politicamente: nel 1975 diventai consigliere comunale e nel 1979 deputato. La possibilità di svolgere attività politica, anche a livelli elevati, non ci distolse dal proseguimento della nostra attività culturale. Fu proprio questo, infatti, l’elemento di vitalità di questo gruppo sulla scena fiorentina, se non nazionale: l’aver sempre proseguito tanto l’attività politica quanto quella culturale nel circolo. Nel 1981, al congresso socialista di Palermo – quello che decise di cambiare lo statuto in modo da eleggere il segretario – che allora era Craxi – in Congresso e non più da parte del Comitato Centrale – arrivai con due numeri dei neonati Quaderni del Circolo Rosselli. I numeri che avevo portato con me e che distribuii ai vari dirigenti dell’epoca contenevano “I quadri dello P.S.I.” di Sergio Mattana e il “Liberal socialismo” di Paolo Bagnoli. Un evento, legato a questo episodio che vale la pena ricordare è che Enrico Berlinguer, che portò a quel Congresso il saluto del Partito Comunista, girando tra gli stand, li vide ed iniziò a parlarne con la nostra Lucia Ferretti, la quale ci raccontò successivamente che Berlinguer si interessò e si congratulò per le pubblicazioni del circolo.

 

Nacquero allora i Quaderni?

Valdo Spini: Come succede in questi casi, l’idea di pubblicare i Quaderni arrivò un po’ per caso. Avendo i due manoscritti di Paolo Bagnoli e di Sergio Mattana decisi di portarli in visione alla casa editrice fiorentina Le Monnier, perché nella famiglia proprietaria, vi era un mio compagno di studi di Economia e Commercio, Vanni Paoletti. Lui mi consigliò di andare da un funzionario, il dottor Cardoso, che era allora malato ed era ricoverato nella clinica di Santa Maria Teresa. Questo funzionario non capiva il perché proponessimo due pubblicazioni separate. Visto che realizzavamo molte iniziative e conferenze, ci consigliò di trarre a partire da questi due manoscritti i primi due esemplari di una rivista, suggerendoci anche il titolo: Quaderni del Circolo Rosselli. E come casa editrice La Nuova Guaraldi, a loro legata. La chiamammo Quaderni in ricordo della rivista di Rosselli che si chiamava Quaderni di Giustizia e Libertà e decidemmo di darle una periodicità trimestrale. L’idea, quindi, era di avere uno strumento per lasciare una traccia scritta delle cose che dicevamo e che facevamo. Fu un’idea effettivamente felice. I Quaderni toccano quest’anno il quarantesimo della loro esistenza. Come succede spesso hanno cambiato varie case editrici, ma non hanno mai smesso di uscire e credo che questo faccia di essi una rivista abbastanza longeva. Ora sono editi da Pacini, Pisa.

 

Antecedentemente il circolo aveva riviste o altre proprie pubblicazioni?

Valdo Spini: No, direi che non ce ne era bisogno, ce l’avevano già. Codignola, come editore, pubblicava Il Ponte, la rivista fondata e diretta da Piero Calamandrei e, dopo la sua morte, da Enzo Enriques Agnoletti. In verità in precedenza il Circolo Rosselli, allora situato in Piazza della Libertà, al numero 15, era stato via via la sede delle varie formazioni politiche a cui aveva dato vita il gruppo degli ex-azionisti fiorentini. Nel 1947 il Partito d’Azione si sciolse e gli azionisti fiorentini, come in parte gli azionisti torinesi, non confluirono nel Partito Socialista di Lombardi o nel Partito Repubblicano con La Malfa. Dettero vita con varia fortuna a gruppi intermedi, che non si identificarono né con Saragat né con Nenni, fino ad arrivare nel 1953 al Movimento di Unità Popolare, movimento che nacque contro la legge maggioritaria Scelba, la cosiddetta “legge truffa”. Unità Popolare, con i suoi voti, non prese seggi ma fu abbastanza decisiva per non fare scattare il meccanismo maggioritario. In seguito Unità Popolare, con il suo leader Tristano Codignola, confluì nel 1957 nel Psi in cui aveva vinto la linea autonomista di Nenni e di Lombardi. Successivamente, ci fu un periodo in cui, in parallelo con la nascita del centrosinistra a Firenze con Giorgio La Pira e Nicola Pistelli da un lato e i socialisti, con gli ex-azionisti di Codignola e Agnoletti, dall’altro, il Circolo Rosselli animò, insieme al circolo di Pistelli, una serie di iniziative e confronti. Gli adulti dell’epoca, però, erano ormai talmente impegnati nelle vicende politiche e professionali che di fatto abbandonarono il circolo, che rimase privo di un’attività vera e propria. Gli intellettuali della prima e della seconda resistenza, tra i quali Nello Traquandi svolse un ruolo di collegamento, erano stati un gruppo eroico nella Resistenza fiorentina, che suscitava in noi un fascino enorme e con i quali mantenemmo una certa continuità, riuscendo però anche al contempo ad organizzarci autonomamente. Noi avevamo l’idea che i valori rosselliani e gli ideali di Socialismo e Libertà fossero fecondi per i giovani che stavano cercando un orientamento. Ne 1973 presentammo la prima edizione di Socialismo liberale di Rosselli. L’opera era stata pubblicata in precedenza, in maniera un po’ avventurosa, nel 1945, ma in seguito non era stata più edita. Festeggiammo poi nel 1975 l’anniversario del “Circolo di cultura”, il progenitore del Rosselli, e ora ci accingiamo a celebrarne il centenario (1920-2020). Devo dire che se non ci fosse stato questo afflusso giovanile il circolo sarebbe rimasto chiuso. Le persone anziane e adulte ormai avevano troppi impegni per potersene occupare.

 

Tra anni Settanta e gli anni Ottanta, quali erano, oltre a voi, i principali gruppi intellettuali che avevano come punto di riferimento il Partito Socialista?

Valdo Spini: In verità avevamo un certo primato. A quell’epoca nel Partito Socialista ci fu anche uno scontro perché il leader della maggioranza, prima nenniana, poi demartiniana era il senatore Luigi Mariotti, che si presentava come rappresentante dei ceti popolari del Psi che secondo lui volevano il centrosinistra e il governo con Nenni, rivendicando concretezza e riforme contro gli intellettuali astratti, sempre insoddisfatti e critici come gli ex-azionisti. Mariotti vinse questo scontro, perché la mozione locale proposta nel 1963 da Codignola – una specie di mozione lombardiana ante litteram –, che proponeva la rottura tra Lombardi e Nenni, ottenne solamente il 3%. La centralità del tema della “concretezza popolare” contro l’intellettualismo fece sì che gli intellettuali del Partito d’Azione fossero messi nuovamente all’angolo. E tuttavia, poiché si trattava di persone di valore, nessuno riuscì ad emarginarli del tutto, ma anzi riuscirono a mantenere sempre un ruolo importante e positivo. Possiamo dire che dal punto di vista culturale esercitavamo una certa egemonia. Più tardi, negli anni Settanta, quando Lelio Lagorio, assistente di Calamandrei, che aveva lasciato Codignola e si era unito a Mariotti, diventò Presidente della Regione, ottenendo una propria autonomia rispetto alla corrente socialista maggioritaria, fondò una rivista che si chiamava: Città e regione. Come Presidente di Regione Lagorio animava quindi una certa attività culturale, ma i rosselliani esercitavano comunque una sostanziale egemonia culturale all’interno del mondo socialista. Nell’area comunista i personaggi di rilievo erano all’epoca storici e filosofi come Garin, Luporini, e Ragionieri. C’erano anche scienziati, ma all’epoca il fulcro della presenza culturale era rappresentato da loro.

 

Rispetto ad oggi, volendo fare un quadro idealtipico, quali erano le principali modalità attraverso cui avveniva il dibattito intellettuale?

Valdo Spini: Certamente il convegno era la struttura principe. Ci fu ad esempio in quegli anni un importante convegno su Gramsci organizzato dal Partito Comunista. Ci fu anche una rivista interessante che si chiamava Politica e società, animata da elementi più giovani rispetto a Luporini e Garin, che erano Leonardo Paggi e Paolo Cantelli. Nel frattempo, il successo elettorale del Partito Comunista diventò eclatante: nel 1975 Firenze ebbe una giunta di sinistra, e nel Consiglio Comunale c’erano 25 comunisti e 6 socialisti. I socialisti divennero determinanti per avere la maggioranza e quindi ottennero un vicesindaco e 4 assessori mentre personalmente rimasi in consiglio a fare il capogruppo. Il fattore che ci caratterizzò fu il nostro grande impegno in politica nella corrente della sinistra lombardiana, ma sempre sorretto e mantenuto da un impegno culturale che rappresentava la nostra linfa vitale, perché fu proprio questa egemonia culturale che esercitavamo che ci permise di non essere schiacciati del tutto. Potevamo essere battuti, ridimensionati, ma mai del tutto eliminati perché all’interno dell’area socialista ci veniva riconosciuto questo elemento importante.

 

Cosa cambiò con gli anni Ottanta?

Valdo Spini: Negli anni Ottanta Rosselli diventò di moda. Craxi all’inizio della vicenda, ancora nel 1976, sulla suggestione di Luciano Pellicani, autore del Vangelo socialista, contestò il marxismo in nome di Proudhon. A mio parere fece un errore: una contestazione in nome di Rosselli sarebbe stata più comprensibile. Rosselli a mio avviso è stato il primo pensatore post-marxista della storia italiana, colui che trasse il dibattito fuori dalla dicotomia riformismo-massimalismo. Non è infatti un caso che da Giustizia e Libertà di Rosselli provengano le figure di Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini e da questi due, successivamente, Paolo Sylos Labini, autore del Saggio sulle classi sociali. Quest’ultimo fu un libro che presentammo a Firenze e che fu abbastanza contestato perché, da un punto di vista sociologico, Sylos Labini usciva dalla tradizione marxista, affermando la maggiore complessità della società rispetto alla rappresentazione data da Marx nell’Ottocento. Nel 1981 nascono i Quaderni del Circolo Rosselli, – l’ho ricordato – i primi due numeri li porto al Congresso Psi di Palermo. Li consegnai a mano al segretario Craxi e ad altri leader socialisti, e qualche mese dopo diventai vice segretario del Psi in rappresentanza della sinistra, insieme a Claudio Martelli che rappresentava la maggioranza craxiana. E che nel 1984, dopo il congresso di Verona, quello dei fischi a Berlinguer, diventò vicesegretario unico. Carlo Rosselli venne poi introdotto ufficialmente nel dibattito del Psi alla seconda conferenza di Rimini, alla quale partecipò, accolto con grandi onori, Norberto Bobbio e al successivo congresso di Rimini (1987) quando fu chiamato a commemorarlo Giorgio Spini. Comprendemmo allora, che, per quanto fossimo affezionati alla formula del vecchio e glorioso Circolo, bisognava fare un salto in avanti, anche perché in quegli anni di Fondazioni ne sorgevano molte. Demmo quindi vita alla Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, eretta in Ente Morale con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1990. La Fondazione del Socialismo Liberale in Italia.

 

L’inizio degli anni Novanta è il periodo in cui nasce l’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane?

Valdo Spini: Si, venne fondata nel 1992 e all’inizio sentimmo come Rosselli il dovere di partecipare all’AICI, ma non ci sentimmo particolarmente coinvolti. Il nostro coinvolgimento è più recente. Nel 2013 finita la presidenza di Franco Salvatori, già presidente della Società Geografica Italiana, la Segretaria dell’AICI, la compianta Lucia Zannino mi propose di diventare io stesso presidente dell’Associazione. Comprendendo come AICI svolgesse un ruolo di lobby delle Istituzioni e Fondazioni di cultura nei confronti di ministeri e istituzioni per la concessione di fondi e finanziamenti, accettai l’incarico alla sola condizione di poter anche e soprattutto a fare cultura. Nacque così l’idea di organizzare una serie di conferenze nazionali scegliendo le località in modo da investire tutta la Penisola. La prima fu a Torino nel 2014, poi a Conversano (Bari) nel 2015, poi a Lucca (2016), a Trieste (2017), a Ravello (2018) e l’anno scorso, nel 2019, a Firenze. Gli atti di queste conferenze sono stati tutti pubblicati. A causa del Covid-19 quest’anno, invece che in Sardegna, abbiamo organizzato il 5 ottobre una manifestazione dal titolo Riparti Italia, riparti cultura a Milano, nella regione più colpita. Il nostro obiettivo è quello di spiegare che nella società liquida contemporanea, e in particolare in una società italiana, per molti versi frammentata e disorientata, mantenere una bussola di ricerca culturale e sottolineare la continuità delle culture della Repubblica, sia pure in senso pluralistico, ha un grande valore. Posso affermare che in certe parti della società italiana o delle istituzioni questo messaggio sia passato. Lo denota anche il successo dell’AICI stessa, arrivata ormai a 125 soci, che sono di cultura politica, musicale e anche religiosa, visto il recente ingresso del centro di gesuiti di San Fedele. Da questo punto di vista, una azione di difesa della cultura intesa in senso pluralistico, senza strumentalizzazioni politiche, ma con un elemento di impegno politico, direi che abbia avuto successo. Un successo utile per la democrazia italiana. Tutto questo ha avuto un effetto positivo anche dal punto di vista economico, perché nel 2014 l’ammontare complessivo del fondo per le Fondazioni e gli istituti culturali era dimezzato rispetto al periodo precedente la crisi del 2007-2008 ed ora è invece non solo ha recuperato ma è stato addirittura aumentato.

 

Ricostruiamo anche l’ultima parte della storia della Fondazione Rosselli, cioè dagli anni Novanta a oggi.

Valdo Spini: L’elemento preponderante e vincente è stato quello di rappresentare il terreno sul quale è maturata l’iniziativa – anche se non coronata da un successo immediato – della riforma dei partiti e delle campagne elettorali. È da questi dibattiti che nasce anche la mia proposta di legge sulla trasparenza del finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali del l’1 agosto 1984. Questo tema si era affermato in vari convegni già negli anni Ottanta, cioè dieci anni prima di Tangentopoli. Questo ha fatto sì che con l’avvento di Tangentopoli, mentre partiti e punti di riferimento culturali venivano chiusi, la Fondazione Rosselli rimanesse integra, ottenendo maggiore autorevolezza. Credo che questo rappresenti un filo di continuità con il passato. A tutt’oggi, infatti, svolgiamo iniziative come, per esempio, quella relativa all’applicazione dell’Articolo 49 della Costituzione. Oppure ci proponiamo di entrare nel dibattito sul nuovo sistema elettorale alla luce della vittoria del sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Il filone che ha caratterizzato la fondazione dagli anni Novanta, che penso continuerà a caratterizzarla e che l’ha resa un polo di dialogo interessante, è stato quello della riforma della politica in una prospettiva che contrastasse gli opposti rischi del conservatorismo e dell’antipolitica.

 

Riprendendo il discorso sulle forme della cultura, oggi, rispetto al quadro del passato, come sono cambiate le attività di una fondazione di cultura? Quali sono le differenze principali?

Valdo Spini: Come le realtà analoghe alla nostra, ci siamo dotati di un sito e di forme di comunicazione sui social. Essendo una fondazione di livello nazionale, ma con sede a Firenze, è più difficile ottenere visibilità rispetto ad altre Fondazioni che hanno sede a Roma o a Milano. Si è trattato dunque di misure valide e necessarie per aumentare la nostra audience. In questa direzione i social ci hanno assolutamente facilitato e incentivato. Il grande impulso al cambiamento però è stato chiaramente il Covid-19. Per evitare di cessare le nostre attività abbiamo cominciato a promuovere webinar e varie forme di conferenze online, riscontrando che molte persone, che prima non avevano il tempo e i soldi di venire a Firenze o a Roma, potevano fruirne in questo modo. È un elemento rispetto a cui non si potrà tornare più indietro. Naturalmente questo cambiamento comporta tre distinti aspetti. Il primo, chiaramente negativo, è la mancanza di empatia. Fino a poco tempo fa in una sala gremita si sviluppavano consensi, dissensi, simpatie, antipatie e contatti. L’empatia che si formava in quella sala adesso non c’è più e questo elemento è un fattore che manca e mancherà profondamente. Il secondo fattore è il miglioramento della qualità che si è portati ad offrire. Quando prima si organizzava una conferenza si sapeva di poter contare su un certo numero di partecipanti, che di solito coincideva con l’area dei nostri soci e simpatizzanti, interessati anche a venire semplicemente ad incontrarsi. Ora invece una conferenza deve offrire un prodotto che convinca qualcuno a collegarsi al computer e dedicare una parte del proprio tempo a questa attività. Se prima poteva bastare il piacere di incontrare le persone e magari di ascoltare le ultime novità, ora è necessario offrire un prodotto che convinca certe specifiche fasce di persone a seguirlo in rete. Il terzo aspetto riguarda la possibilità di interconnessione tra varie città e nazioni. Ad esempio alla conferenza dell’AICI a Milano è intervenuta una esponente dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che si collegava da Ginevra. Quest’ultimi due aspetti positivi devono essere assolutamente coltivati, ma per rimediare alla mancanza di empatia, secondo me, bisogna offrire più partecipazione, cercando di non scegliere dall’alto gli argomenti del webinar, ma di integrare nel processo decisionale la base tradizionale dei soci e degli spettatori, altrimenti il rischio è di un certo verticismo. Quindi facendo attenzione ai pericoli, i due aspetti positivi si possono e si devono assolutamente sfruttare.

 

Quali tendenze vedi per il futuro delle Fondazioni culturali e quali pensi che sia il compito che questo genere di istituti devono assumere oggi?

Valdo Spini: Esiste un vero e proprio vuoto tra la società civile e i partiti. Di partiti, come è noto, ne sono rimasti pochi e poco partecipati, non restano più molti circoli e in essi si svolgono poche riunioni. Mantengono il potere di fare le liste elettorali e si animano in quelle occasioni. Può darsi che in futuro i partiti tornino all’antico vigore, ma nel frattempo credo che le Fondazioni culturali, che possono avere un ruolo di collegamento tra società, politica, partiti e istituzioni, rimangano molto importanti. Naturalmente ci sono altri fenomeni di partecipazione quali, ad esempio, sono state le “Sardine”, ma l’efficacia di Fondazioni e Istituti culturali si misura sulla media e lunga durata, cioè sulla capacità di elaborazione, di critica, di suggerimento e di riflessione sulle tendenze e sui fatti nuovi. Credo quindi che ci sia un rapporto tra la buona salute dell’AICI e questo vuoto. Quando una persona interessata fa un bilancio del proprio tempo e decide di dedicare una parte di esso all’attività di riviste e Fondazioni significa che lo ritiene più proficuo rispetto all’impiego delle proprie energie in altri modi. L’altro tema fondamentale è relativo al legame con i giovani. L’AICI, ad esempio, con la costituzione del gruppo degli under 35 ha avuto un’intuizione vincente, che ha impedito che questa generazione, compressa da quella precedente, che ha costituito le Fondazioni, non trovasse spazio. Non a caso molte Fondazioni hanno più successo quando organizzano attività come università estive e scuole di formazione. Credo proprio che ci sia bisogno di trasmettere ai giovani questo messaggio e questa capacità di mobilitazione. L’impegno non deve risolversi solo in indignazione, ma anche in mobilitazione culturale.

 

Molti istituti, molte Fondazioni culturali sono caratterizzate costitutivamente da un rapporto con il passato, con il Novecento, ad esempio in quanto depositarie di archivi, o essendo legate a determinate figure politiche e culturali del passato. Come si tengono in equilibrio questa missione di conservazione e il ruolo da giocare nella società e nella politica presente?

Valdo Spini: L’interesse su quello che è avvenuto nel passato, in particolare nelle giovani generazioni, te lo giochi se sai dire qualcosa di interessante per il presente e per il futuro. Solo così ci può essere la curiosità nel ricercare da quale matrice proviene un certo discorso, quali siano gli antecedenti. Se semplicemente si offre la contemplazione o il rispetto nei confronti del passato si rischia di fallire. Quindi anche tutte quelle Fondazioni che sono intitolate a un grande pensatore o ad un grande politico, in realtà, se non vogliono essere autoreferenziali, devono giocarsi l’interesse verso il loro patrimonio storico sulla capacità di sapere dire qualcosa di buono per il presente e per il futuro. Con l’epidemia del Covid-19 ancora in atto, ce ne è un grande bisogno.

 

Il mondo in una stanza

ARRIVATI IN REDAZIONE

a cura di Antonio Comerci

Il mondo in una stanza

Emily Dickinson (1830 – 1886) in vita vide pubblicate solo sei sue poesie, per giunta riviste e adattate dagli editori. La sua poetica non era nello stile del tempo, come lo fu invece nel Novecento, quando venne considerata fra i maggiori poeti e tradotta in tutto il mondo. Visse perlopiù in una tipica villetta americana di Amherst, cittadina non lontana da Boston. Gli ultimi 15 anni li trascorse solo in casa e poi unicamente nella sua stanza al primo piano.

Quella stanza ha voluto visitare Benedetta Centovalli, che nel settembre 2018 ha preso l’aereo per arrivare a New York e poi ad Amherst. Così è nato “Nella stanza di Emily”.

Specialista di narrativa contemporanea, Centovalli ha curato le opere di autori importanti del Novecento, da Bilenchi a Bassani, a Alda Merini. Attenta al dibattito culturale, scrive di critica letteraria su riviste, partecipa a programmi radiofonici, premi letterari e convegni di studi. Dal 2016 ha un’agenzia lettera- ria. «Queste pagine – ha scritto – nascono, anche, dal bisogno di chiarire a me stessa le ragioni di un mestiere molto amato, controverso al punto da rubarmi la vita offrendomi però in cambio la possibilità di trasferirla o ritrovarla nelle storie degli altri».

Il libro è un intreccio fra l’esplorazione del mondo della Dickinson e della sua poesia e il mondo e le sensibilità della Centovalli, «volevo esplorare quegli abissi da cui non possiamo né vogliamo salvarci e che sono come un assaggio della morte in vita».

Il racconto del viaggio ad Amherst e le foto del libro, aprono una prospettiva inedita sulla figura di Emily Dickinson e sulle sue passioni, dando al lettore il ritratto di una donna affascinante e vitale.

Benedetta Centovalli, Nella stanza di Emily, ed. Mattioli 1885, 2020, pagg. 124, euro 14, si può comprare solo sul sito dell’editore, è disponibile l’e-book.

Una medaglia ai Fratelli Rosselli

È una medaglia celebrativa dei Fratelli Rosselli, realizzata dall’incisore Gianni Bucher per il Partito Socialista Italiano negli anni ’80. L’ha donata alla Fondazione Circolo Rosselli la socia Valeria Finzi, che ringraziamo.

Figlia di Matilde Bassani, Valeria Finzi ha curato il libro sulle esperienze partigiane della madre. Una preziosa testimonianza sul contributo della comunità ebraica italiana alla lotta contro il nazifascismo. I documenti conservati da Matilde Bassani e pubblicati nel libro “Matilde Bassani Finzi: partigiana. Documenti 1943-1945” del 2004, sfatano molti luoghi comuni: che in Italia la persecuzione antisemita prima dell’8 settembre fu blanda o applicata di mala voglia dalle autorità politiche.

 

 

Giornate di lettura nelle scuole

Prendono il via a novembre le giornate di formazione del Centro per il libro e la lettura. Saranno selezionati 120 partecipanti, tra i primi iscritti interessati al corso a partire da lunedì 12 ottobre.

 

Per gli insegnanti

In occasione di Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole (16-21 novembre 2020), per la prima volta il Centro per il libro e la lettura offre agli insegnanti che avranno registrato le proprie attività nella banca dati di Libriamoci, e che siano interessati ad approfondire l’educazione alla lettura, due corsi di formazione online, ciascuno sviluppato su due incontri e tenuto da esperti di Hamelin, associazione culturale che da oltre vent’anni si occupa di educazione alla lettura sul territorio nazionale, con progetti per i diversi gradi scolastici.

È un’occasione importante per acquisire nuove competenze e prospettive, nella convinzione che sia sempre più utile e decisivo tanto il confronto diretto fra insegnanti, soprattutto se provenienti da luoghi ed esperienze differenti, quanto quello tra docenti e professionisti del settore che da anni riflettono e lavorano su questa specifica formazione, per uno scambio di buone pratiche e per sviluppare maggiore consapevolezza anche sul piano teorica.

 

CONTENUTI DEI CORSI

Un modulo è dedicato alla Scuola dell’Infanzia e alla Scuola Primaria, un altro alle scuole Secondarie. Entrambi prevedono un primo incontro più teorico, la lettura di alcuni testi a casa da parte dei partecipanti, e un secondo appuntamento di confronto e presentazione di alcuni libri tra quelli proposti nelle bibliografie tematiche di Libriamoci. Tra il primo e il secondo incontro è previsto un intervallo di circa un mese, per consentire alle e ai partecipanti di recuperare e leggere i titoli consigliati.

In entrambi i moduli i focus dei secondi incontri verteranno sul tema istituzionale della campagna, Positivi alla lettura, e sui titoli proposti nelle tre bibliografie relative ai filoni tematici: Contagiati dalle storie; Contagiati dalle idee; Contagiati dalla gentilezza. Al termine delle attività, il Centro per il libro e la lettura rilascerà un Attestato di Formazione.

 

  1. Modulo per Scuola dell’Infanzia e Scuola Primaria: mercoledì 11 novembre e giovedì 10 dicembre, dalle 17 alle 19.30.

Ci si muoverà sempre a cavallo tra narrativa e albi illustrati, cercando di mettere a fuoco i due diversi modi di leggere fra immagini e parole: nel primo incontro si darà ampio spazio alla “grammatica” dell’albo illustrato (cos’è, come si legge, quali le peculiarità e i punti di forza) e si proporrà una panoramica dei migliori autori e titoli, illustrati e di narrativa, usciti negli ultimi anni, per scoprire con i corsisti gli strumenti per selezionare e valutare le proposte dell’editoria contemporanea. Al termine dell’incontro verranno assegnati dei titoli da leggere, in modo da avere una base comune di discussione nel successivo, in cui verranno messe al centro le bibliografie tematiche.

 

  1. Modulo per Scuole Secondarie: lunedì 9 novembre e lunedì 14 dicembre, dalle 17 alle 19.30.

Per limitare le grandi differenze di età tra i due gradi si darà maggiore rilievo a testi ponte, sperimentati con successo alla fine delle secondarie di primo grado come all’inizio delle scuole superiori. Nel primo incontro si percorreranno rapidamente gli sviluppi dell’editoria contemporanea e dell’immaginario collettivo ad essa legato, per aver ben presenti titoli, generi, tendenze, pregi, limiti e trasformazioni fondamentali. Ci si interrogherà su cosa significhi leggere oggi e su come portare la lettura in classe. Verranno poi consigliati dei titoli in vista dell’incontro successivo, che sarà totalmente dedicato ai testi: è prevista una parte di confronto, e una di presentazione e approfondimento delle tre bibliografie tematiche di Libriamoci.

 

MODALITÀ DI ISCRIZIONE

Potranno usufruire gratuitamente dei corsi gli insegnanti che, dopo aver inserito la propria iniziativa nella banca dati di Libriamoci, provvederanno a perfezionare l’iscrizione inviando una mail all’indirizzo libriamoci@beniculturali.it precisando: nome, cognome, codice dell’iniziativa, ordine e grado di scuola, nome e indirizzo della scuola.

Per consentire un approccio più diretto e interattivo, e se possibile piccoli lavori di gruppo tramite stanze virtuali, l’accesso è limitato a 60 partecipanti per modulo.

Saranno quindi selezionati 120 partecipanti (60 infanzia/primaria e 60 secondaria primo/secondo grado), tra i primi iscritti in banca dati e interessati al corso. Potranno accedere max 3 docenti per istituto e, per garantire una partecipazione quanto più possibile varia, si terrà in considerazione la provenienza geografica.

 

Sul sito Libriamociascuola.it   notizie, aggiornamenti e tanti materiali e strumenti utili, e sui canali social di Facebook (@libriamociascuola) e Twitter (@LibriamociAS) per la condivisione di foto, video, resoconti e commenti di partecipanti e organizzatori (tag #Libriamoci).

Centro per il libro e la lettura

 

“Riparti Italia, riparti Cultura”- Relazione del Presidente nazionale dell’Aici Valdo Spini

“Riparti Italia, riparti Cultura”, Milano 5 Ottobre 2020.

Relazione del Presidente nazionale dell’Aici Valdo SPINI

  1. Perché siamo qui

L’anno scorso a novembre celebravamo a Firenze la VI conferenza nazionale dell’Associazione delle Istituzioni culturali italiane (Aici) in un’affollata sala di Palazzo Vecchio di fronte ad un pubblico motivato e partecipe. Quest’anno la VII conferenza nazionale era prevista nel novembre a Cagliari, in Sardegna. L’abbiamo rinviata all’anno prossimo, perché nelle condizioni di un’epidemia Covid19 tuttora in atto, non si poteva certo programmare con sufficiente serenità una tre giorni di riunioni e di dibattiti con i relativi viaggi e soggiorni.

Purtroppo, dobbiamo prendere atto che passerà del tempo prima che si possa celebrare in presenza la nostra consueta conferenza nazionale “Italia è cultura”.

Ma guai a prendersi delle pause o peggio ancora ad arrendersi. Quello che non possiamo fare in presenza lo dobbiamo fare in remoto. Certo non sarà possibile suscitare una vera e propria empatia tra i partecipanti e costruire un vero e proprio evento collettivo, ma potremo allargare la partecipazione senza che gli interessati debbano sopportarne il peso in termini di costi di trasporto e/o di tempi di trasferimento.

Segnaliamo che le adesioni all’Aici sono in costante aumento, nonostante il Covid-19. Nella nostra ultima assemblea del 24 settembre u.s. ne abbiamo accolte altre 5 (tra cui tre in Lombardia) e siamo così’ diventati 125! Tra i nuovi soci abbiamo il Centro Cultura di San Fedele e l’Associazione Buddista Maitreya, segno di un pluralismo di interessi e di partecipazioni che abbiano costruito con successo nell’Aici in questi anni.

Non abbiamo tuttavia voluto saltare questo anno 2020. Abbiamo deciso di svolgere una giornata di riflessione e di ricerca proprio sui mutamenti in atto nel nostro lavoro cui siamo, lo si voglia o no, costretti. L’abbiamo collocata a Milano nel capoluogo della Regione più colpita dalla pandemia, proprio la Lombardia, come segnale di presenza e di solidarietà. Il titolo della nostra iniziativa “Riparti Italia, riparti cultura”, alla quale il Presidente della Repubblica ha concesso il suo Alto Patronato, è frutto della inesauribile vena creativa del nostro Massimiliano Tarantino direttore generale della Feltrinelli che ci ospita e che ringraziamo caldamente. È un titolo che parla da solo. La cultura è il grande motore delle trasformazioni della nostra società e se, la ripartenza dell’Italia è la ripartenza della cultura, la ripartenza della cultura sarà il segno della ripartenza dell’Italia. E in questo comune sforzo del nostro paese, noi, le Fondazioni e gli Istituti di Cultura ci siamo e diamo il nostro contributo.

Oggi pomeriggio, del resto, saranno le stesse istituzioni culturali lombarde, nostre socie, ad essere protagoniste del racconto delle loro esperienze in questi mesi terribili e delle prospettive e degli orientamenti con cui intendono muoversi.

Per forza di cose questi lavori si svolgeranno in parte in presenza con le modalità ammesse, in parte in remoto. Un ibrido così definisce un tale stato di fatto nella sua relazione la prof.ssa Paola Dubini, con il termine ora in voga per la transizione ecologica dei carburanti.

Una cosa è comunque chiara ed è che queste nuove modalità, insieme alle penalizzazioni che comportano, obbligano però alla ricerca sia di un incremento di qualità dei nostri prodotti, cioè del contenuto dei nostri webinar, sia di un aumento del pubblico coinvolto nei collegamenti telematici che attiviamo. Tutto questo poggia sulla digitalizzazione dei nostri patrimoni culturali, una sfida che ci riguarda tutti. Su questo piano non si tornerà più indietro.

2.Che cosa stiamo facendo

Non ci siamo fermati né durante il lock down né dopo il lock down.

Tra sanificazione dei libri delle nostre biblioteche, regolamentazione degli accessi, distanziamenti e quant’altro, le Fondazioni e gli Istituti Culturali italiani continuano la loro attività. Significativo quanto abbiamo realizzato in pieno lockdown il 2 giugno scorso per la Festa della Repubblica: una pagina del sito dell’Aici dedicata alla pubblicazione di video realizzati nell’occasione da varie istituzioni di cultura politica del nostro paese, che ha totalizzato più di duemila visitatori.

Ed è con questo spirito che l’Aici, con un voto parte in corrispondenza e parte in presenza in un seggio ospitato a Roma nella sede della Società Geografica Italiana, ha rinnovato pochi giorni or sono (24 settembre), i suoi organi dirigenti per il prossimo triennio. L’Aici ripropone così al paese la realtà della sua consistenza associativa di Fondazioni e istituti culturali, sottolineando il valore della funzione di coesione e di orientamento che può svolgere, oltre al ruolo di rappresentanza che intende consolidare, soprattutto nel dialogo con le istituzioni.

Stiamo realizzando una serie di iniziative formative in webinar utili ad approfondire le conoscenze dei nostri soci in particolare e degli interessati in generale. La prima, in parte anche in presenza è stata organizzata dalla Società Geografica Italiana e dal suo nuovo presidente, il prof. Claudio Cerreti il 30 giugno e dedicata alla legge sul terzo settore, tema importante ed urgente, su cui mi riprometto di tornare successivamente. I nostri giovani, gli under 35 coordinati da Michael Musetti, oltre a curare la newsletter quindicinale della nostra Associazione, stanno realizzando una serie di iniziative in questo campo. La prima, il 17 luglio è stata dedicata al tema del fundraising  (relatrice Irene Sanesi) , e il 19 ottobre se  ne svolgerà un’altra sul Bilancio Sociale (relatore Claudio Travaglini).

La nostra parola d’ordine è: la cultura non si ferma! Dunque, anche noi non abbiamo nessuna intenzione di fermarci, anzi di intensificare la nostra azione.

3.Siamo a disposizione della scuola e dell’Università.

In questo momento difficile per la scuola e per l’Università in cui la disponibilità di spazi di biblioteche, di personale attrezzato ad orientare negli studi è veramente preziosa, faremo presenti ai Ministri dell’Istruzione e dell’Università che le nostre strutture, le nostre biblioteche, i nostri archivi sono a disposizione. L’intento è quello di poter avere una sorta di convenzione quadro per una collaborazione permanente. Una condizione che rafforzerà i rapporti che taluni dei nostri associati hanno già con questi ministeri.

I nostri associati dispongono di personale qualificato, di locali e di spazi, (a volte più grandi a volte più piccoli ma sempre utili), biblioteche e archivi preziosi che certo sono centrati sulla particolare cultura che rappresentano ma che vanno aldilà delle loro stesse specificità per investire larghe aree di conoscenza e che costituiscono, attraverso l’Aici una vera e propria rete. Noi siamo e ci sentiamo agenzie di cultura che possono validamente cooperare nell’attività formativa delle giovani generazioni.

Siamo certi di rappresentare un patrimonio prezioso per il paese, che sarebbe negativo disperdere o affievolire in questa crisi che colpisce tutti, ma che al contrario, vogliamo rafforzare perché possa dispiegare sempre nuove positive potenzialità.

In tal senso mi permetterò nella fase finale del mio intervento di formulare alcune richieste al “nostro” Ministro Franceschini e al Direttore Generale Turetta.

4.L’Italia che vogliamo

Stanno arrivando verso l’Italia i fondi europei e siamo molto grati al Commissario Paolo Gentiloni per il suo intervento in video in questa nostra giornata di lavoro.

Tutti conosciamo le cifre: circa 190 miliardi cui più di ottanta a fondo perduto per il Fondo per la ripresa (il Recovery Fund) Fondo per la prossima generazione, più di 27 miliardi del fondo SURE per sostenere il lavoro, cui si aggiungerebbero altri 36 miliardi di prestiti si decidessimo di utilizzare il MES.

Un ammontare di fondi senza precedenti destinati a rimodellare il nostro paese.

E allora noi esponenti delle associazioni culturali, diciamo subito che vogliamo un’Italia dell’istruzione, della ricerca e della cultura come presupposto di un’Italia competitiva nell’economia, nella società, nei modelli spirituali di vita.

Sull’istruzione, secondo l’Eurostat, ancor prima del Covid- 19 il tasso di dispersione scolastica nel nostro paese era del 14, 5% circa, risultante di una forbice tra Nord e Sud tra l’11% e il 18% circa, il che faceva del nostro paese il quarto in Europa in questa classifica negativa. Gli effetti della pandemia in questo campo non possono che essere stato negativi, non certo positivi accentuando le disuguaglianze tra chi ha potuto usufruire della didattica a distanza e di chi non ha potuto farlo, per condizioni economiche familiari o per collocazione territoriale perdendo il legame determinante con la scuola,

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, proprio recentemente ricordava che nel 2018 la spesa per R&S in percentuale del PIL si è attestata solo all’1,4 per cento, contro il 2,4 della media dei paesi OCSE, meno della metà del livello registrato in economie avanzate come gli Stati Uniti e la Germania.

Secondo l’OCSE, l’Italia spende il 3,6 % del proprio PIL per l’istruzione, a partire dall’istruzione primaria fino a quella universitaria, a fronte di una spesa media dei paesi dell’OCSE del 4,5 %. In termini di percentuale sul totale della spesa pubblica, secondo Eurostat, l’Italia spende il 7.9 % per l’istruzione, a fronte di una media UE pari al 10,2 %. L’Osservatorio sui conti pubblici, inoltre, sottolinea che l’Italia investe nell’Università lo 0,3 % del PIL, meno di tutti gli altri partner dell’Unione, con l’eccezione della Grecia.

E ancora secondo i dati di Ignazio Visco, l’Italia è il primo paese dell’Ocse per quota di persone tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione (i cosiddetti NEET, not in education, employment or training): per la fascia compresa fra i 20 e i 24 anni, in particolare, questa percentuale arriva al 28,4 per cento, più del doppio rispetto alla media dei paesi OCSE. Una situazione che si aggraverà diventando veramente drammatica se non interverremo adeguatamente e in tempi rapidi.

Mi fermo qui perché parlo ad una platea di persone che conoscono questi problemi e questi dati.

L’Italia che vogliamo è un’Italia che conduca vittoriosamente la lotta alla dispersione scolastica stanziando i relativi interventi, e che salga sostanzialmente nella graduatoria dei paesi europei negli stanziamenti per la ricerca, l’università, la formazione, all’insegna della condivisione e della coesione.

Solo in questo modo potremo raggiungere l’obiettivo dell’aumento della produttività del sistema, condizione necessaria per il successo del nostro Piano Nazionale per la ripresa e la resilienza.

Chiediamo una svolta decisa in questa direzione e i Fondi Europei ne possano essere l’occasione.

5.Le richieste dell’Aici

Nel 2017 conducemmo un’inchiesta interna all’Aici con circa 70 risposte (pari al 68 % degli iscritti di allora) al nostro Questionario e potemmo così censire un totale di 1350 addetti che sono evidentemente ancora di più se pensiamo al fatto che ora siamo 125 soci.

Non sarà una quantità paragonabile al personale di una delle vecchie fabbriche milanesi, ma è una realtà consistente, preziosa per il paese perché dedita e qualificata. Senza contare l’ampia area di volontariato culturale che mobilita. Una risorsa importante per il nostro paese. Di fronte al Ministro Dario Franceschini, e al Direttore Generale Mario Turetta, proprio per lo spirito di collaborazione che ci ha animato in questi anni e che ci anima tanto più oggi, vorrei esprimere quattro richieste per rafforzarla.

Quattro sono infatti le questioni che voglio sottolineare. Due sono richieste di “manutenzione”, diciamo di ordinaria amministrazione e due invece di mutamenti diciamo così strutturali.

Le prime due:

-L’erogazione dei contributi. Do atto con piacere al Ministro Franceschini di essere riuscito ad aumentare il totale dei contributi. Sono in corso di valutazione le domande per i contributi della tabella triennale, per quello annuale dell’anno corrente per i convegni/pubblicazioni. Nell’attuale situazione, il rispetto dei tempi, pur in presenza di un passaggio di competenze tra la Direzione delle Biblioteche e quella della Ricerca è particolarmente importante. Indubbiamente più pesante è la situazione di chi si avvale dei contributi del MUR dove i ritardi sono veramente preoccupanti.

-Legge terzo settore. Fermo restando che quelle Fondazioni e quegli Istituti che desiderano farlo e ne hanno le caratteristiche necessarie hanno tutto il diritto di entrare nel terzo settore e passare sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro, il Mibact deve essere molto fermo nel chiedere che quelle Fondazioni e quegli Istituti che intendono rimanere nell’attuale condizione di riconoscimento e di controllo da parte degli organi statali e regionali possano farlo, senza essere costretti a costosi mutamenti di statuto e/o penalizzati sul piano del trattamento fiscale oppure esclusi dalla fruizione di particolari benefici che al terzo settore vengono riservati.

Anche in occasione del nostro citato incontro del 30 giugno, abbiamo registrato una convergenza di tutti gli istituti associati sulla necessità di mantenere uno stretto rapporto istituzionale con il Mibact, a prescindere dall’appartenenza o meno al Terzo settore.

Il Mibact, a sua volta, ha tutto l’interesse a mantenere e sviluppare il rapporto con le Fondazioni e gli Istituti culturali, ma se lo vuol fare, si deve muovere di conseguenza.

Sarebbe quindi positivo se in parallelo all’albo del terzo settore venisse costituito presso il MIBACT stesso un albo delle fondazioni e degli istituti culturali. L’Aici potrebbe collaborare alla sua realizzazione.

Due proposte di rafforzamento delle nostre strutture:

– I giovani. Abbiamo costituito nell’Aici un coordinamento degli under35 proprio per favorire un ricambio delle giovani generazioni alla direzione delle nostre organizzazioni culturali. Proprio per questo è importante un provvedimento che favorisca il reclutamento giovani. Chiediamo un finanziamento straordinario a favore delle Fondazioni e degli Istituti Culturali, ma finalizzato e riservato alla costituzione di duecentocinquanta fellowship nel senso anglosassone del termine, cioè di borse di ricerca post dottorato, con organi di selezione che vedano la presenza dell’università.

-Infine, un provvedimento che consenta l’incremento del finanziamento privato a favore delle nostre Fondazioni e dei nostri istituti. Si tratta dell’estensione del meccanismo fiscale dell’Art Bonus, che il ministro Franceschini ha introdotto per il mecenatismo culturale alle nostre istituzioni.  Premierebbe la ricerca del fund raising nel settore privato oltre che l’attesa del contributo pubblico. Potrebbe essere consentito proprio a chi si iscrive all’albo delle fondazioni e degli istituti culturali, di cui chiediamo la costituzione.

  1. Conclusioni

La nostra di Milano è un’iniziativa che va nel senso del rafforzamento dell’unità nazionale, della necessità della condivisione della cultura e della coesione sociale.

Essa si svolge in un contesto che chiamerei di “traversata verso l’ignoto”.

Tutto ciò obbliga le nostre Fondazioni e i nostri istituti ad uscire dalle loro nicchie e nuotare in mare aperto. Ma questo rafforza anche la funzione delle Associazioni di rete come l’Aici che sono in grado di costituire momenti indispensabili di sinergia nel lavoro comune. È quanto faremo qui a Milano in questo anno 2020 che sarà comunque, anche se purtroppo, memorabile.

Lo abbiamo ricordato già in altre occasioni: Edgar Morin, definisce la cultura come “l’insieme di abitudini, costumi pratiche, sapere, regole, valori che si ripetono di generazione in generazione”. Bene. Questa trasmissione è l’essenza stessa della civiltà di una nazione. Non possiamo permettere che questa catena si spezzi.

E noi dell’Aici siamo qui per dare il nostro contributo a che questo non avvenga.

 

Valdo Spini

 

 

ITALIA POST COVID: IL MOMENTO PROPIZIO PER IL RITORNO ALLA CRESCITA

ITALIA POST COVID: IL MOMENTO PROPIZIO PER IL RITORNO ALLA CRESCITA

di Roberto Boschi

Sono state pubblicate nel mese di settembre da Eurostat le stime consolidate del PIL II° trimestre 2020 per tutti i Paesi dell’Euro Area. Il grafico sottostante riporta le variazioni del II° semestre rispetto al trimestre precedente.

Fonte: Destatis; Insee; Istat; Ine.es; CBS;StatBel; Ine.pt

Anche ad un semplice colpo d’occhio si evidenzia, senza ombra di dubbio, il terribile forte impatto della recessione da coronavirus, ma, allo stesso tempo, emergono anche i diversi livelli di “sofferenza” che essa sta causando ai singoli Paesi.

Sembra proprio che i più colpiti siano gli Stati che hanno nel Settore Servizi, fra cui spicca l’interscambio turistico, un asset importante della loro economia. A primeggiare in questa triste classifica è la Spagna con –18,5% del PIL trimestrale. Nel paese iberico il flusso turistico netto vale quasi il 4% de PIL. Anche la Francia è fortemente colpita dal calo del turismo internazionale ed infatti il PIL francese è quello che dopo la Spagna, fra i Paesi più grandi dell’EU, ha subito il colpo più duro dalla chiusura imposta dal Covid-19.

I paesi che hanno viceversa un interscambio turistico negativo, sono meno impattati dal blocco imposto alla mobilità internazionale di persone: ne è un esempio la Germania che vede un calo del 11,3%, poco meno della metà rispetto a quanto registrato in Spagna.

Il calo del PIL italiano, nella seconda lettura del 31/8, si attesta al 12,3%: sicuramente molto alto se paragonato a quello tedesco, ma comunque inferiore ai cali di Francia e Spagna. E’ forse la prima volta nella (oramai ultra ventennale) storia dell’Euro Area che, in fase recessiva, il Nostro Paese si comporta meglio dei Paesi mediterranei suoi vicini. Come mai? Cosa spiega questa minore negatività? E, soprattutto, è credibile un recupero molto repentino, a forma di “V” stretto, come ipotizzato dal nostro Ministro dell’Economia e Finanze nell’aggiornamento alle Camere a fine luglio?[1]

Un recupero a “V” con l’intensità prospettata dal MEF è, oggettivamente, molto ambizioso (e quasi sicuramente sarà rivisto al ribasso nell’autunno), eppure questa volta sono presenti elementi strutturali, assoluti e relativi, che potrebbero, se ben assecondati, delineare per i prossimi anni una traiettoria, se non a “V”, certamente migliore rispetto a quanto verificatosi nei 30 mesi successivi al fallimento Lehman del settembre 2008, prima che l’attacco speculativo sui BTP dell’estate 2011 desse avvio alla crisi che sprofondò l’Italia nel 2012 nella seconda recessione in pochi anni.

Dal punto di vista strutturale, l’Italia è arrivata all’appuntamento con la Crisi Covid-19 in condizioni decisamente differenti rispetto al 2008:

  • Surplus di partire correnti, in essere dal 2014, che ha di fatto azzerato la posizione debitoria netta sull’estero (nel 2008 avevamo un -23% circa di debito estero netto).
  • Inflazione al consumo ed alla produzione da alcuni anni decisamente più contenuta dei ns partners e competitori dell’Euro Area.
  • Sistema industriale/manifatturiero tornato ad esser molto competitivo, sia per il contenimento dei costi salariali (cioè bassa inflazione alla produzione), sia per l’upgrading qualitativo della produzione, grazie ad una ripresa significativa di investimenti in innovazione e robotica, che ha consentito a molti settori di riportare in patria produzioni a suo tempo de-localizzate.

Certo, il rovesciamento della situazione rispetto al 2008 è stato assolutamente parziale, perché affidato quasi esclusivamente alla sola domanda estera: quale sarebbe stato il livello del nostro PIL a fine 2019 se al recupero dell’export netto si fosse aggiunta anche una ripresa della domanda interna, magari sostenuta da politiche di bilancio pubblico anche solo leggermente più espansive, possiamo solo immaginarlo. Paghiamo per questo un prezzo altissimo alle insensate regole dell’Euro Zona alle quali ci siamo devotamente allineati, facendo inusitati avanzi primari quando gli Altri Paesi le ignoravano per anni (Spagna, Portogallo ed anche Germania inizialmente) o per sempre (Francia).

Oltre a questi “dati di fatto”, è anche la composizione strutturale del nostro PIL a fare ben sperare. Con un peso della produzione industriale al 16%, ed il peso del settore turistico “netto” inferiore al 2%, siamo molto più simili alla Germania, che non alla Francia ed alla Spagna, molto più dipendenti, come già detto, dai Servizi e dal Settore Turistico.

I due grafici sottostanti, tratti da un recente studio del Prof. Patric Artus, capo economista di Natixis, sono emblematici in tal senso.

Fonte: Natixis – Flash Economie n° 838 – Luglio 2020

Incrociando la lettura dei grafici con quello iniziale, si nota, a colpo d’occhio, una significativa correlazione fra calo del PIL ed il peso della produzione manifatturiera: è infatti il settore industriale che è ripartito per primo dopo il lockdown sostenendo la crescita. Quindi, Paesi con importante settore manifatturiero stanno dimostrando una migliore tenuta e sembrano pronti ad agganciare la ripresa: Francia e Spagna non sono fra questi, l’Italia si!

In conclusione, guardando in prospettiva, può non essere azzardato avanzare l’ipotesi che siano presenti molte condizioni e prerogative perché non si debbano ripetere le esperienze nefaste del 2008 e del 2012.

Perché ciò avvenga c’è assoluto bisogno di sostenere la Domanda Interna (quella Estera i nostri Imprenditori sono assolutamente in grado di intercettarla!) e quindi di non ritornare a fare “austerità” fiscale. Oltretutto abbiamo abbondante risparmio privato (dato il surplus di Partite Correnti) per permettere al nostro Governo di effettuare tutti gli Investimenti necessari ad aumentare la nostra competitività.

L’ombrello della BCE ed i risultati sulla crescita faranno calare progressivamente i tassi sulle nuove emissioni di debito pubblico. I soldi in arrivo dal 2021 grazie al Recovery Fund, potranno, in questa cornice, dare una ulteriore sostanziale spinta alla ripresa economica, se gli investimenti che finanzieranno saranno ben progettati, selezionati ed implementati.

E’ un detto comune, sostanziato dai fatti storici, che nei momenti più bui si trova la forza per rialzare la testa e tornare a crescere. Forse mai come adesso il futuro del Nostro Paese sembra dipendere solo da noi: sta a chi ci Rappresenta e Governa non fallire questo importante appuntamento con la Storia.

 

[1] Nel documento con il quale si è approvato il nuovo scostamento dal budget, Gualtieri ha indicato per il prossimo trimestre un PIL che, dopo aver toccato a fine giugno i 356.647 mil.ni, sale a 391.527 mil.ni nel III° trimestre e tocca i 429.818 Mil.ni a fine anno, cioè quasi lo stesso importo con cuoi si è chiuso il IV trim. 2019 (€430.057 mil.ni).

Scomparsa di Carla Nespolo

Esprimiamo il nostro profondo cordoglio per la scomparsa di Carla Nespolo presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Carla Nespolo, prima donna e prima presidente non partigiana dell’Anpi, ha segnato il passaggio generazionale e il rinnovato impegno antifascista che oltre ai valori della Resistenza oggi diventa impegno antirazzista. Siamo sicuri che l’Anpi raccoglierà e porterà avanti l’esempio di una donna che da sempre ha lottato per la libertà e la giustizia sociale.

 

 

“Fondazione Circolo Rosselli”

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RIPARTI ITALIA, RIPARTI CULTURA

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica

RIPARTI ITALIA, RIPARTI CULTURA

Si è tenuta a Milano il 5 ottobre 2020 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, via Pasubio 5

 

Ore 9.30 registrazione ospiti

SESSIONE PUBBLICA

Ore 10.00 – 13.30

Saluti

Filippo del Corno Assessore alla Cultura del Comune di Milano

Carlo Feltrinelli Presidente Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Relazione introduttiva

Valdo Spini Presidente AICI

Interventi

Dario Franceschini Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo

Paolo Gentiloni Commissario Europeo all’Economia (videocollegamento)

Stefano Bruno Galli Assessore per la Cultura e le Autonomie della Regione Lombardia

Diana Bracco Presidente Fondazione Bracco

Elio Franzini Rettore Università degli Studi di Milano

Anna Biondi Bird Vicedirettrice Ufficio per i lavoratori dell’ILO – International Labour Organization (videocollegamento)

Emilia Gatto Ministro plenipotenziario, Ministero degli Affari Esteri

Ha moderato

Piero Colaprico La Repubblica

 

Ore 14.30 – 17.30

WORKSHOP

Gli istituti di cultura dopo il lockdown: prospettive per la ripresa

Relazione introduttiva

Paola Dubini Centro ASK, Università Bocconi

Interventi

Massimiliano Tarantino Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Tiziana Cittadini Centro Camuno Studi Preistorici

Franco Ippolito Fondazione Lelio e Lisli Basso

Paolo Pezzino Istituto Nazionale Ferruccio Parri

Filippo Giannuzzi Fondazione Giuseppe Di Vagno

René Capovin Fondazione Luigi Micheletti

Giorgio Bigatti Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea (ISEC)

Walter Galbusera Fondazione Anna Kuliscioff

Marta Inversini Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

Gaspare Polizzi Società Filosofica Italiana

Annalisa Rossi Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Lombardia

E’ intervenuto

Mario Turetta Direttore generale educazione, ricerca e istituti culturali del MIBACT

Conclusioni

Valdo Spini Presidente AICI

 

5 ottobre 2020 Programma Riparti cultura, riparti Italia_Convegno AICI

 

I Rosselli raccontati dai giovani

Un breve video per promuovere il film documentario “Presenti nella storia: la voce dei Fratelli Rosselli”, fatto dagli insegnanti e da studenti dell’Istituto Salvemini – Duca D’Aosta di Firenze. La nostra Fondazione li ha aiutati a farlo e chi vuole può vederlo su Youtube.

Fondazione Circolo Rosselli” Facebook: https://www.facebook.com/FondazioneCi…

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Aici. Valdo Spini rieletto Presidente.

Si è svolta giovedì 24 settembre, l’assemblea dell’Associazione delle istituzioni di cultura italiane, che ha proceduto al rinnovo degli organi statutari in scadenza. Valdo Spini, presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze, è stato confermato alla Presidenza dell’Associazione per il prossimo triennio.

Il nuovo Comitato esecutivo è così composto: Francesco Accardo (Fondazione di ricerca Giuseppe Siotto); Nicola Antonetti (Istituto Sturzo); Margherita Azzari (Società geografica italiana); Germana Capellini (Fondazione Lelio e Lisli Basso); Marina Cattaneo (Fondazione Anna Kuliscioff); Alessandra Cavaterra (Fondazione Ugo Spirito-Renzo De Felice); Maria Pia Donat-Cattin (Fondazione Donat Cattin); Letizia Lanzetta (Istituto nazionale di studi romani); Salvatore Claudio La Rocca (Centro universitario europeo beni culturali); Gianvito Mastroleo (Fondazione Giuseppe Di Vagno); Paolo Pezzino (Istituto nazionale Ferruccio Parri. Rete degli Istituti storici della Resistenza ) Silvio Pons (Fondazione o Gramsci, Roma); Federico Ruozzi (Istituto scienze religiose Giovanni XXIII); Sergio Scamuzzi (Polo del ‘900); Siriana Suprani (Fondazione Gramsci Emilia Romagna); Massimiliano Tarantino (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli); Antonio Tedesco (Fondazione Pietro Nenni) e Giuseppe Tognon (Fondazione trentina Alcide De Gasperi)

Sono confermati i revisori dei conti: Pier Francesco Bernacchi (Fondazione nazionale Carlo Collodi); Giuseppe Giorgetti; Luigi Tomassini (Fondazione di studi storici Filippo Turati)

L’assemblea ha inoltre proceduto all’approvazione del bilancio preventivo per il 2021 e all’ammissione di cinque nuovi soci:l’Istituto per lo studio dell’età contemporanea (ISEC) di Sesto San Giovanni; la Fondazione Centro studi Alfierani; la Fondazione Maytreia, istituto di cultura buddhista, la Fondazione Centro culturale San Fedele e l’Unione femminile nazionale

L’Associazione raggiunge così il numero di 125 soci.

L’assemblea ha infine preso atto delle comunicazioni del presidente Spini sulle prossime scadenze: l’evento “Riparti Italia, riparti cultura” che avrà luogo a Milano, presso la Fondazione Feltrinelli, il 5 ottobre, alla quale interverranno, tra gli altri il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni e il Ministro per i beni culturali e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini,  e, in primavera, una iniziativa dedicata al rapporto tra istituti di cultura e regioni nell’ambito delle attività per Parma capitale italiana della cultura 2021 e, in autunno, la VII Conferenza nazionale dell’Associazione, che si terrà  Cagliari.

“Rieletto alla Presidenza, ho accettato il nuovo mandato, consapevole che l’associazione può contribuire alla coscienza di uno sforzo unitario del paese per uscire dalla crisi e dare uno sbocco ai giovani, nel nostro caso in particolare a quelli che operano nella ricerca e nella cultura”

 

(per notizie sull’Aici www.aici.it )

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